Parlare di reportage è sempre difficile. Come dare una definizione precisa. Iniziamo a dire che il reportage non è un'accozzaglia di fotografie di bambini di colore con gli occhioni grandi e la mosca sul viso. Se pensate a questo allora avete sbagliato di grosso. Datevi alla raccolta di funghi, alle collezioni di francobolli, avrete maggiori soddisfazioni...
Sono solito, a livello puramente accademico, suddividere in tre parti principali la realizzazione di un reportage:
- preparazione
- shooting
- editing
Partiamo per gradi, iniziamo a dire che la parola chiave è "progettualità". Lo scatto è una delle ultime preoccupazioni in reportage, prima c'è un sacco di roba da fare: studiare la tematica, cercare i soggetti, guardare i lavori già presenti, contattare le persone, organizzare l'attrezzatura e le giornate di scatto.
E' secondo me la fase più importante, permette di approfondire ciò che andiamo a fotografare, permette di conoscere meglio i nostri soggetti, per entrare in sintonia con loro, per riuscire a rendersi "invisibili" quando poi andremo a riprenderli. E' una parte spesso trascurata da chi si affaccia per la prima volta al reportage, ma che personalmente la considero la base di tutto il lavoro.
Contrariamente a quanto si possa pensare, per me questa è la fase che a livello temporale è la meno impegnativa delle tre. Investo molto più tempo nella prima e nell'ultima fase, perché voglio arrivare ben preparato il giorno che prendo la fotocamera in mano.
La fase dell'editing può essere molto lunga, perché secondo me non esiste un editing definitivo, ma diversi editing per diverse occasioni. Per una mostra collettiva le operazioni di selezione e di elaborazione saranno sicuramente differenti rispetto ad una personale o per una pubblicazione.
L'editing di un lavoro muta anche con il tempo, si evolve con l'evolversi della nostra cultura (generale, non solo fotografica), ma anche con l'evolversi della nostra età, del nostro modo di approcciarci alla vita, della nostra visone della fotografia. Proprio in questi giorni sto rieditando vecchi lavori con un punto di vista completamente diverso rispetto al passato. E' il bello del reportage, della fotografia. I nostri lavori crescono, maturano insieme a noi. Non sono statici, ma si evolvono.