Qualche sera fa ho documentato lo spettacolo "Omaggio a Danilo Dolci" messo in scena da gruppo Orme, l'associazione di promozione culturale che si occupa di teatro di impegno civile. Il gruppo
nasce nel 2009 a Torino, unendo l’esperienza formativa della compagnia “Viartisti Teatro” con quella pedagogica di Acmos. ORME organizza spettacoli ed eventi nell’ambito delle iniziative di Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, ACMOS e Teatrimpegnocivile.
ORME è un centro unico in Italia, che mette insieme la formazione teatrale quella musicale accompagnate da percorsi sulla legalità democratica.
Seguo ormai da molti anni il gruppo di Don Ciotti in tutte le sue attività, anche quelle più artistiche.
Quando Nadia mi ha chiesto di documentare questo importante spettacolo ho accettato con entusiasmo.
Qualche foto di backstage e dello spettacolo:
Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924 – Trappeto, 30 dicembre 1997) è stato un sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza italiano.
Anni giovanili
« Se l'occhio non si esercita, non vede.
Se la pelle non tocca, non sa.
Se l'uomo non immagina, si spegne. »
(Danilo Dolci, da Il limone lunare)
Nasce il 28 giugno 1924 a Sesana (in provincia di Trieste, ora territorio sloveno). La madre, Meli Kontelj, è una donna slovena molto religiosa, mentre il padre, Enrico Dolci, è un ferroviere italiano agnostico, il cui lavoro determina per la famiglia continui cambi di residenza.
Danilo compie i primi studi in Lombardia, conseguendo il diploma presso un Istituto tecnico e poi la maturità artistica a Brera. Lo attrae la musica classica, soprattutto Johann Sebastian Bach. Legge autori moralmente impegnati come Tolstoj, Russell, Voltaire, Seneca.
Durante gli anni del fascismo sviluppa presto una decisa avversione alla dittatura. Nel tortonese - dove risiede con la famiglia durante i primi anni della guerra - viene visto strappare manifesti propagandistici del regime. Nel 1943 rifiuta la divisa repubblichina e tenta di attraversare la linea del fronte, ma viene arrestato a Genova dai nazifascisti. Riesce a fuggire e ripara presso una casa di pastori in un piccolo borgo dell'Appennino abruzzese.
Terminata la guerra, studia Architettura a Roma, dove segue anche le lezioni di Ernesto Buonaiuti. Torna poi a Milano, dove conosce Bruno Zevi. Insegna presso una scuola serale di Sesto San Giovanni e, tra gli operai che siedono dietro i banchi, conosce Franco Alasia, che diventerà tra i suoi più stretti collaboratori. Prosegue gli studi di Architettura al Politecnico di Milano, ma nel 1950, poco prima di discutere la tesi, decide di lasciare tutto per aderire all'esperienza di Nomadelfia - comunità animata da don Zeno Saltini - a Fossoli (frazione di Carpi).
Dal 1952 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti ed il lavoro: siffatto impegno sociale gli varrà il soprannome - rivolto in quegli anni anche ad Aldo Capitini - di "Gandhi italiano".
Le lotte non violente a Trappeto e Partinico
« Vi sono grato
di non esservi vergognati di me
quando mi eran contro quasi tutti [...]
Vi lascio
una vita scoperta intensamente
giorno per giorno:
ho cercato per voi
di guardare oltre l'attimo vivendolo... »
(Danilo Dolci, da Il limone lunare)
Nella sua attività di animazione sociale e di lotta politica, Danilo Dolci ha sempre impiegato con coerenza e coraggio gli strumenti della nonviolenza.
Il 14 ottobre del 1952 Dolci dà inizio a Trappeto alla prima delle sue numerose proteste nonviolente, il digiuno sul letto di Benedetto Barretta, un bambino morto per la denutrizione. Se anche Dolci fosse morto di fame, lo avrebbero sostituito, in accordo con lui, altre persone, fino a quando le istituzioni italiane non si fossero interessate alla povertà della zona. La protesta, dopo aver attirato l'attenzione della stampa, viene interrotta quando le autorità si impegnano pubblicamente ad eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di un impianto fognario. In questa occasione si stabilisce un dialogo intenso e duraturo fra Dolci e il filosofo nonviolento Aldo Capitini.
Nel 1953 Dolci sposa la vedova di una vittima dei banditi, Vincenzina, con cinque figli, dalla quale avrà altri cinque figli: Libera, Cielo, Amico, Chiara e Daniela.
Nel gennaio del 1956, a San Cataldo, oltre mille persone danno vita ad uno sciopero della fame collettivo per protestare contro la pesca di frodo, che, tollerata dallo Stato, priva i pescatori dei mezzi di sussistenza. Ma la manifestazione è presto sciolta dalle autorità, con la motivazione che «un digiuno pubblico è illegale».
Il 2 febbraio 1956 ha luogo, a Partinico, lo sciopero alla rovescia. Alla base c'è l'idea che, se un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, un disoccupato può scioperare invece lavorando. Così centinaia di disoccupati si organizzano per riattivare pacificamente una strada comunale abbandonata; ma i lavori vengono fermati dalla polizia e Dolci, con alcuni suoi collaboratori, viene arrestato. L'episodio suscita indignazione nel Paese, e provoca numerose interrogazioni parlamentari. Dolci viene successivamente scagionato, dopo un processo che ha enorme risalto sulla stampa: a difenderlo è il grande giurista Piero Calamandrei:
« [Il Pubblico Ministero] ha detto che i giudici non devono tenere conto delle "correnti di pensiero". Ma cosa sono le leggi se non esse stesse delle correnti di pensiero? Se non fossero questo non sarebbero che carta morta. [...] E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarci entrare l'aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue, il nostro pianto. Altrimenti, le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante esse vanno riempite con la nostra volontà.»
(Piero Calamandrei, dall'arringa tenuta il 30 marzo 1956 davanti al tribunale penale di Palermo)
Nel corso degli anni, intorno a Dolci si è consolidata la stima nazionale e internazionale. Nel 1957 gli viene attribuito in Unione Sovietica il Premio Lenin per la pace. Lo accetta, pur dichiarando di «non essere comunista». Con i soldi del premio si costituisce a Partinico il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".
Si intensifica, intanto, l'attività di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, tra cui i deputati Calogero Volpe e Bernardo Mattarella (Democrazia cristiana), allora ministro (si veda la documentazione raccolta in Spreco, del 1960, e Chi gioca solo 1966). I due parlamentari querelano per diffamazione Dolci e Franco Alasia (co-autore della denuncia), che verranno condannati dopo un processo durato sette anni; solo un'amnistia eviterà loro la detenzione.
La figura e l'opera di Dolci polarizzano l'opinione pubblica: mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarietà, in Italia e all'estero (anche da personalità come Norberto Bobbio, Carlo Levi, Ignazio Silone, Aldous Huxley, Jean Piaget, Bertrand Russell ed Erich Fromm), per altri Dolci è solo un pericoloso sovversivo: il cardinale Ernesto Ruffini, ad esempio, in un'omelia del 1964, indicò il gran parlare di mafia, il romanzo "Il Gattopardo", e Danilo Dolci come le tre cause che maggiormente contribuivano a disonorare la Sicilia.
Il metodo maieutico
« il vivere mi inorridisce
e affascina
siamo minimi microbi
in bilico distratto
tra disperazione e presunzione »
(Danilo Dolci, da Il dio delle zecche)
Costituisce una caratteristica importante del lavoro sociale ed educativo di Dolci il suo metodo di lavoro: piuttosto che dispensare verità preconfezionate, ritiene che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso valorizza la cultura e le competenze locali, il contributo di ogni collettività e ogni persona. Per questo Dolci collega la sua modalità di operare alla maieutica socratica. Il suo è un lavoro di "capacitazione" (empowerment) delle persone generalmente escluse dal potere e dalle decisioni.
Nelle riunioni animate da Dolci, ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e decidere. È proprio nel corso di riunioni con contadini e pescatori della Sicilia occidentale che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato. La successiva realizzazione di questo progetto costituirà un importante volano per lo sviluppo economico della zona e toglierà un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. L'irrigazione delle terre ha consentito in questa zona della Sicilia occidentale la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
Il lavoro educativo
« quando le raffiche della burrasca
crescono
devi inventare l'angolo, ogni tratto,
a cui la furia sommergente infonda
forza avanzante –
col timone arrischiare di sapere
come tagliare il mare »
(Danilo Dolci, da Il dio delle zecche)
A partire dagli anni settanta per Dolci l'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso alla sperimentazione, della struttura maieutica, ovvero di una modalità cooperativa di dibattito, studio e ricerca comune della verità. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Negli anni successivi Dolci gira l'Italia per animare laboratori maieutici in scuole, associazioni, centri culturali.
Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori italiani e internazionali, si approfondisce negli anni ottanta e novanta: muovendo dalla distinzione fra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica della società connessi al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media.