Ieri sera presso il GF La Mole di Torino ho presentato in anteprima assoluta il mio ultimo reportage: "Legami - storia di bondage". Sono stato intervistato dal presidente del gruppo Riccardo Rebora sul mio lavoro di fotografo e su questo mio ultimo reportage. E' stata una bellissima serata e vorrei ringraziare tutti le splendide persone che sono intervenute e che hanno permesso la perfetta riuscita dell'evento.
Un particolare ringraziamento a Dr Fatso e alla sua modella per avermi permesso di realizzare questo reportage seguendoli durante una loro sessione di bondage.
Di seguito troverete l'intervista e le immagini del lavoro...
D) L’ospite di
questa sera è Marco Donatiello, fotografo e titolare fondatore del
DP Studio, da un lato il fotografo di reportage e dall’altra il
lavoro di studio con una clientela prettamente aziendale ed
industriale. Hai voglia di raccontarci come sei diventato fotografo?
R) Ho iniziato a fotografare
relativamente tardi, ai tempi dell'università, ma ho sempre vissuto
in mezzo alle fotografie grazie a mio papà che è stato un grande amante della fotografia e fotoamatore molto evoluto. Quindi la
fotografia è sempre stata nel mio DNA. Fin dall'inizio sono stato affascinato dai ritratti e dal narrare storie
attraverso la fotografia, quindi l'approdo al mondo del reportage è
stato molto naturale. Dopo la laurea in psicologia ho iniziato a
lavorare come formatore e selezionatore del personale, ma nel 2007 mi
sono reso conto che la mia strada professionale e lavorativa portava
altrove. Ho mollato tutto e ho aperto il DP Studio fotografico, dove
mi occupo di reportage, ritrattistica e corporate.
D) Da sempre sei
stato un attento reporter non solo delle tematiche sociali, ma anche
di quegli aspetti della società più borderline. Lo scorso anno ci
avevi portato il tuo lavoro “Una vita da regina” dedicato alla
vita delle “Drag Queen” e adesso ci presenti in anteprima
assoluta “Legami” dedicato al tema del bondage. Prima di
cominciare con la visione delle foto hai voglia di dirci brevemente
quali sono le motivazioni che ti portano alla scelta di un nuovo
lavoro?
R) Innanzitutto la
curiosità. La curiosità mi ha sempre accompagnato fin da bambino,
mi sono posto domande e ho cercato le risposte. Da
quando ho scoperto la fotografia la utilizzo per soddisfare le mie
domande. Il reportage di questa sera si inserisce in un lavoro più
ampio sul tema del borderline che sto portando avanti da qualche
tempo. Borderline inteso non con valenza clinica, ma come quella
sottile linea che sta al confine tra ciò che la società ritiene
normale e tutto quello che ci spaventa perché non lo conosciamo. E'
quell'area oscura che da una parte ci intimorisce a dall'altra ci
affascina. Ho quindi deciso di raccontare le storie di chi ha deciso
di vivere fuori dagli schemi seguendo il proprio essere, il proprio
istinto. Ricordiamoci che l'essere diverso rende unico l'essere
umano!
Altro punto è il mio
amore per la fotografia. Non è solo un lavoro, una professione, ma
un vero e proprio bisogno. Come ho bisogno di mangiare, ho anche
bisogno di fotografare. Se trascorro troppo tempo senza fotografare
mi sento vuoto, inutile.
D) Il tuo stile di
reportage è sempre preciso, attento, mai banale. Ogni cosa è al
suo posto. Immagino che dietro ci sia un lavoro di preparazione non
indifferente. Ti documenti su quello che andrai prima dell’inizio
del tuo lavoro? Provi già a visualizzare nella tua mente quelle che
saranno le pose e le situazioni che vorrai ritrarre? Ti documenti su
lavori similari di altri fotografi?
R) Cerco di approcciare i
miei lavori senza nessun pregiudizio, ma informandomi molto,
studiando sempre prima quello che vado a fotografare. Normalmente
individuo l'argomento e inizio a studiarlo, poi contatto i miei
soggetti cercando sempre di incontrarli prima per intervistarli o
scambiando con loro alcune mail e cercare di capire meglio quello che
andrò a fotografare. Questi incontri preliminari mi servono, oltre a
conoscere i futuri soggetti e farmi conoscere da loro, anche per
spiegare cosa ho in mente, cosa voglio fare e il perché. Ma sono
molto utili anche perché emergono sempre punti di vista diversi da
quelli che posso avere io. Rispetto a loro sono molto ignorante della
materia che andrò a fotografare, e avere una guida esperta per
conoscerla aiuta moltissimo il mio compito di raccontare la storia.
Mi documento moltissimo
su cosa è già stato fotografato in materia, sia per prendere
spunto, sia per vedere come altri autori hanno affrontato
l'argomento, cercando quindi un punto di vista differente. Non è
sempre facile, ma è un compito da svolgere sempre con la massima
attenzione, per evitare di cadere nel banale o nel già detto.
Inoltre studio molto il
mio soggetto, il suo sito internet, i suoi video, le sue fotografie,
non solo per iniziare a immaginare la sessione, ma anche per capirne
i movimenti, le espressioni. Voglio arrivare al momento dello scatto
con il maggior numero di informazioni possibili, per essere preparato
e pronto. Magari non immagino le pose, ma le situazioni si. Il focus
del reportage e le situazioni chiave sono già ben fissate nella mia
mente durante la fase di scatto. Per fare un esempio sul lavoro
presentato stasera il focus sui dettagli l'avevo stabilito in
precedenza, così come l'attenzione alle mani del soggetto.
D) Dalle immagini
che ci hai appena presentato traspare una scelta stilistica molto
netta e definita. Possiamo cogliere una delicata attenzione ai
dettagli che diventano il fil rouge di tutto il reportage. Come mai
hai deciso di raccontare il mondo del bondage tramite quest’ottica?
R) I dettagli sono secondo
me molto importanti per raccontare una storia come quella di
“Legami”. Permettono di entrare in profondità nel racconto,
aiutano chi guarda il lavoro di essere dentro di esso. Arricchiscono
la narrazione e spesso un dettaglio racconta molto più di un
ritratto. Sono assolutamente concorde che uno sguardo vale più di
mille parole, ma a volte una fotografia che ad una prima lettura
sembra solo di raccordo, ad una lettura più approfondita diventa il
cardine di tutto il reportage.
D) Anche la scelta
del cromatismo si innesta
in quest’ottica di valorizzazione dei dettagli. E’ una scelta
che avevi già in mente prima di scattare o è nata in seguito?
R) Non avevo in mente questo
tipo di cromatismo fino a quando non mi sono trovato sulla scena. I
lenzuoli bianchi appesi alle pareti, il vestiario scuro di uno dei
soggetti. Questa quasi assenza dei colori mi ha spinto a scegliere
questa tipologia di elaborazione. Vorrei solo spendere qualche parola
sul discorso della post produzione. E' sicuramente un fattore
importante, anzi fondamentale per la buona riuscita del lavoro, ma
ritengo più importante avere le idee chiare su come svolgere il
reportage, sulle fotografie da scattare, sulla storia da raccontare
piuttosto che su come post produrle. Magari oggi siamo affascinati
dal Bianco e Nero, ma riprendendo il lavoro fra una decina d'anni lo
stravolgeremo dal punto di vista dell'elaborazione. E' uno degli
enormi vantaggi del digitale, sfruttiamolo a pieno!
D) La visione di un
lavoro omogeneo e strutturato come quello che ci hai appena mostrato
immagino si porti dietro un accurato e minuzioso lavoro di editing e
di selezione. Hai voglia di raccontarci come affronti questo
processo?
R) Il lavoro di editing, al
pari di quello della preparazione, ha una durata molto lunga. Reputo
entrambe le fasi importantissime per la riuscita del reportage. Adoro
studiare e prepararmi prima dello shooting, è affascinante scoprire
e imparare cose nuove. Patisco invece la fase di editing successiva.
Arrivo a guardare e riguardare per centinaia, a volte migliaia di
volte tutto lo scattato prima di iniziare a fare la selezione.
Selezione che difficilmente è quella finale e conclusiva. Tutti i
miei lavori si evolvono nel tempo, maturano insieme a me, e ogni
volta che devo esporre un lavoro riparto sempre dai files Raw dello
scattato. Questo perché negli anni si modifica, spero che si affini,
il mio modo di narrare le storie e cerco sempre di compiere un
editing migliore ogni volta che presento nuovamente un vecchio
lavoro. Molto spesso questa continua visione delle fotografie mi
porta ad avere quasi un rifiuto di esse. A volte mi devo fermare
qualche settimana e non guardarle più, se no rischierei di
cancellare tutto. A volte penso quanto sarebbe bello avere una
persona esperta che potesse fare questo lavoro al mio posto, in modo
da potermi concentrare solo sul cercare nuove tematiche e a scattare
nuovi lavori.
Dal punto di vista
pratico, il mio modo di fare editing parte sempre nel ricercare
l'immagine di apertura e quella di chiusura del lavoro.
Successivamente scelgo le immagini principali, quelle forti che
caratterizzano il reportage, ed infine tutte le immagini di raccordo
che aiutano una lettura migliore delle fotografie nel loro complesso.
D) Torniamo un
attimo ad un discorso più ampio, quando realizzi i tuoi reportage,
ti senti coinvolto oppure mantieni un distacco oggettivo. Portando
all’estremo, si può dire che i tuoi lavori siano oggettivi, una
semplice descrizione della realtà, oppure sono la visione e il
pensiero di Marco?
R) Un lavoro in fotografia
non è mai oggettivo al 100%, porta sempre dietro degli strascichi
del background socioculturale del fotografo. Anche solo la scelta di
un'inquadratura può modificare l'oggettività di un intero lavoro.
Personalmente sono conscio di questa problematica e cerco di arrivare
di fronte ai miei soggetti senza nessun tipo di pregiudizio (inteso
come giudizio a priori, senza conoscere approfonditamente
l'argomento). E' difficile spogliarsi di alcune convinzioni radicate
in noi da anni di condizionamento sociale, ma per essere dei buoni
reporter è necessario cercare di estraniarsi e farsi accompagnare
per mano dai soggetti nel nuovo mondo che andiamo ad esplorare. E' un
atto di estrema umiltà, senza il quale non riusciremmo a raccontare
la nostra storia.
D) Parliamo ancora
un attimo in generale di reportage approfittando della tua
esperienza, tu ritieni che il reportage possa essere un prodotto
chiavi in mano offerto alla visione libera di tutti
oppure che debba essere sempre contestualizzato introdotto e
argomentato?
R) Credo che un minimo di
contestualizzazione sia sempre necessario, anche di fronte a lavori
molto didascalici. Una breve introduzione, come quella che abbiamo
fatto noi ad inizio serata, serve per dare una collocazione al
lavoro, al fotografo che l'ha realizzato, aiuta l'osservatore a
capirci di più e a dare una lettura più consapevole e approfondita
al lavoro stesso. Non dico che bisogna condizionare che guarda il
nostro lavoro, ma che bisogna solo dargli degli strumenti per fargli
capire quello che vogliamo comunicare. L'osservatore non si trova di
fronte ad una bellissima natura morta, ma ad un racconto articolato
che vuole condurlo a porsi domande (e non a dare risposte!). Il
reportage non è un genere difficile e faticoso solo per il
fotografo, ma anche per l'osservatore che non è relegato come negli
altri generi ad essere un soggetto passivo, ma diventa molto attivo
con le sue convinzione, le sue idee e le sue domande. Di fronte ad un
ritratto posso rimanerne affascinato senza pormi nessuna domanda, ma
di fronte ad un reportage non mi pongo nessuna domanda allora non lo
sto affrontando nel modo giusto. Sto solo perdendo del tempo.
D) Per concludere la piacevole discussione ci puoi fornire qualche
anticipazione sul tuo prossimo lavoro?
R) Per questo 2013 mi
sono prefissato principalmente due obiettivi: il primo è logicamente
quello di continuare ad approfondire la strada del bordeline, sto già
lavorando in questa direzione proprio in questi giorni. Invece il
secondo obiettivo è di mettere mano ad un lavoro di lungo termine
che sto seguendo da quasi 10 anni sul mondo dell'antimafia sociale e
vorrei iniziare a porre le basi per la formalizzazione del reportage.
Il difficile di questi lavori è la mole immensa di fotografie da
editare. E' necessario cercare di capire che direzione dare al lavoro
e di conseguenza selezionare le immagini. Un lavoro lungo e reso
difficile dal fatto che attualmente sto continuando in questa ricerca
e quindi il lavoro è ancora in itinere. Il mio maggior timore è
quello di condizionare i futuri shooting sulla base dell'editing
iniziato.