Sono tornato da poche ore dal campo di Mediattivismo de L'Aquila, organizzato da Libera. Il campo è stato studiato per raccontare la situazione del capoluogo abruzzese 4 anni dopo il sisma.
L'Aquila è rimasta uguale dopo quel terribile 6 aprile 2009. Anzi no. La situazione è addirittura peggiorata. Alla distruzione si è aggiunto l'abbandono. La zona rossa è abbandonata a se stessa, così come i vari paesi del circondario. Non c'è stata opera di ricostruzione, se non dei complessi del progetto C.A.S.E.
Il giornalismo, in questi ultimi vent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, non ha raccontato tutto quello che è accaduto. E nella storia del nostro Paese sono state tante le pagine buie, sconosciute, confuse che il mondo di mass media non ha contribuito a chiarire. Un buco dell’informazione che ha toccato direttamente anche l’Abruzzo e L’Aquila. La notte del 6 aprile del 2009, una scossa di terremoto di magnitudo 6.3 ha distrutto la città e provocato 308 morti, sventrando case, inghiottendo attività commerciali e interi paesini. Sotto le macerie sono rimaste anche la libertà d’informazione, i diritti e la democrazia degli aquilani. Al campo di mediattivismo Angelo Venti, il giornalista e responsabile di Libera L’Aquila, Cristina Iovenitti volontaria dell’associazione e Sergio Rotellini della Polisportiva Paganica Rugby hanno raccontato la gestione dell’emergenza post-sisma.
”Sin dai primi giorni – spiega Venti – ci accorgemmo che c’era un coordinamento insolito dell’ordine pubblico, una militarizzazione, in un primo tempo regolare, che anziché allentarsi come accade solitamente, si intensificava. Questa scelta portava soprattutto a limitare, anzi bloccare, la circolazione delle informazioni, soprattutto nelle tendopoli gestite come tutta l’emergenza, dalla Protezione Civile”. Le inchieste di Angelo Venti puntarono subito il dito sulla sospensione della democrazia e mesi dopo, saranno le indagini della magistratura a restituirci con chiarezza il “sistema da manuale” che venne applicato dai vertici della Protezione Civile, successivamente coinvolti in procedimenti giudiziari, cui il Governo affidò la guida diretta del post-sisma. Appalti e comitati d’affari: a pagarne il prezzo saranno i cittadini.
“Organizzare la gente per reagire a questa palese violazione dei nostri diritti, alla disgregazione sociale messa in atto, ai progetti di costruzione di case provvisorie (C.A.S.E. e MAP) lontane dal centro storico, lo svuotamento de L’Aquila. Questo è quello che abbiamo provato a fare in questi lunghi quattro anni – racconta Venti – mentre la maggior parte dell’informazione nazionale restava a guardare, immobile, senza spiegare, anzi diventando cassa di risonanza di questo ”esperimento” di gestione delle emergenze. Fonte
Oggi, a quattro anni di distanza, 22.120 persone non possono ancora tornare nelle proprie case. Di questi, 15.266 vivono negli alloggi temporanei costruiti dallo Stato, 6.595 hanno trovato una sistemazione in autonomia (con un contributo economico statale), 143 vivono ancora in alberghi e strutture ricettive, mentre 116 sono ospitate nelle caserme.
Ho trascorso 4 giorni al campo, organizzando e tenendo un laboratorio fotografico per i ragazzi che stanno approfondendo la tematica del mediattivismo. Con loro abbiamo discusso del ruolo del fotografo nell'informazione e di come realizzare una documentazione fotografica efficace. Abbiamo parlato di come impostare un reportage e di come editarlo, effettuando una selezione ragionata degli scatti. Ma abbiamo soprattutto agito sul campo, andando a documentare, macchina fotografica alla mano, la tragica realtà aquilana.
Vorrei ringraziare tutti i ragazzi che in questi giorni con grande passione hanno seguito i laboratori del campo. Saranno i nostri occhi e le nostre orecchie per il futuro.