martedì 2 aprile 2013

Il reportage fotografico



L'altro giorno durante una sessione di photographer coach mi è stato chiesto cosa fosse per me il reportage.

Ho sempre rifiutato sterili classificazioni che sono incasellamenti inutili quando si parla di fotografia. Se proprio devo trovare una definizione del mio modo di fare fotografia, credo che quello che maggiormente incarni il mio modo di lavorare è quello di "Narratore di storie".

Sono attratto sia da brevi storie, che si svolgono nell'arco di poche ore o pochi giorni, ma anche e soprattutto da lavori che si protraggono per molti anni. Ho seguito un gruppo Rom di Torino per circa 4 anni, da quando il loro campo è bruciato fino all'inserimento nel "Dado", una struttura abitativa permanente. Con Libera, invece, sto lavorando da quasi dieci anni, documentando il mondo e i personaggi dell'antimafia sociale, un reportage che difficilmente troverà una sua conclusione, in quanto è un argomento vastissimo e in continua evoluzione. 


Nel reportage è di fondamentale importanza la fase preparatoria del lavoro, fase deputata alla ricerca di informazioni, di contatti che servono per indagare e approfondire l'argomento da trattare. A volte ci vogliono mesi per reperire tutti tasselli per farci un'idea completa della tematica. È la fase che amo molto, mi permette di studiare approfonditamente argomenti che mi  aiuteranno ad affrontare il lavoro con una buona preparazione. Arrivare alla fase successiva, quella dello shooting, preparati, conoscendo non solo i soggetti che verranno ripresi o i luoghi dove si svolgerà l'azione, ma soprattutto le motivazioni, i comportamenti e le emozioni dei soggetti stessi. Più siamo preparati più sarà facile fotografare riportando a chi guarderà il lavoro queste motivazioni.

Nella fase dello shooting è di fondamentale importanza cercare di rimanere il più obiettivo possibile, lasciando da parte eventuali nostri pregiudizi. È impossibile essere assolutamente obiettivi, qualche nostro giudizio morale o pregiudizio sicuramente si insinuerà nel nostro lavoro. 



Ultima fase è quella dell'editing. E' sicuramente una parte molto importante di tutto il lavoro. Amo considerare lo scattato come della creta grezza da plasmare, da cui ricavare editing diversi, a seconda della finalità: una mostra, una pubblicazione o una semplice presentazione. Non esiste un editing definitivo, ma diversi editing funzionali a scopi diversi.


Per concludere vorrei riportare come Michele Smargiassi sulla sua rubrica Fotocrazia di Repubblica ha definito il reportage: "Un fotoreportage è un assemblaggio di spezzoni di cose incontrate, cercate, vissute, che il reporter raccoglie, che sceglie e dispone in modo che costruiscano il racconto coerente di una situazione sulla quale il reporter si è fatto un’idea."

Non sto a linkare migliaia di siti di agenzie di reporter, li troverete facilmente su internet con una semplice ricerca, vi segnalo invece due chicche.


Il documentario "War photographer" girato sulla vita professionale di James Nachtwey:


Il film (molto, ma molto romanzato) "Bang bang club" basato sulla storia di 4 grandi reporter, Greg Marinovich, Joao Silva, Kevin Carter e Ken Oosterbroek che hanno documentato l'apartheid: