Dopo mesi riprendo la rubrica "Question time", le domande continuano ad arrivare (e a molte rispondo direttamente via mail, visto che sono argomenti che sono stati già trattati in passato) ma non ho più avuto la costanza nel creare un post.
Oggi prendo spunto da una bellissima discussione che ho avuto qualche giorno fa in occasione della mia ultima esposizione con un signore che mi chiedeva una mia visione del reportage, o meglio della narrazione per immagini. Più in dettaglio mi ha chiesto del perché accompagno sempre le mie esposizioni con didascalie o introduzioni sul tema. Secondo lui, se le foto sono ben fatte e l'editing è curato non serve nessuna parola di accompagnamento.
Credo che qualunque fotografia debba essere sempre accompagnata dalla sua descrizione o da un titolo. La singola fotografia, o il reportage, da solo, non può essere contestualizzato nella situazione, nella realtà, nel momento.
Prendiamo l'esempio dell'immagine qui sotto, senza la didascalia potrebbe sembrare un semplice muro scrostato, mentre l'aggiunta della nota fa emergere tutta la sua drammaticità.
Segni delle unghie lasciati sulle pareti di una camera a gas di Auschwitz |
Per me la fotografia è narrazione, e la narrazione si fa con le parole, io ci aggiungo semplicemente delle immagini...