lunedì 27 febbraio 2012

"Dietro le quinte del fotogiornalismo" documentario di Ruben Salvadori

E' da qualche tempo che voglio parlarvi di questo documentario:


Il nocciolo del discorso che il bravissimo Ruben Salvadori ha evidenziato è il seguente: la presenza del fotografo influisce sempre e comunque l'azione, sia solo per il suo effettivo essere sulla scena, sia per l'attrezzatura che porta addosso (maschera antigas, almeno due fotocamere, elmetto, ecc...) il che trasforma la situazione in un vero e proprio set, in uno show, in cui il fotografo stesso diventa a suo malgrado un attore.
Ruben si è chiesto il perché di questa situazione e giunge ad una conclusione che, ahimè, conosciamo tutti noi che ci occupiano di reportage: il mercato fotografico richiede fotografie d'effetto, drammatiche, intense e se la situazione non ha queste carattarestiche, il fotogiornalista è costretto a crearle. In questo modo si rompe il tabù del fotografo invisibile che non deve influenzare la scena che riprende, che è il cardine di tutta la fotografia di reportage.

Questo documentario sul dietro le quinte del fotogrionalismo mi ha riportato alla mente una celebre immagine  che ha vinto qualche anno fa il premio International News Image al Swedish Picture of the Year Awards e che ha fanto tanto discutere per come è stata scattata. Ritrae il cadavere della quindicenne Fabienne Cherisma, uccisa dalla polizia dopo aver compiuto un piccolo furto, una settimana dopo il terremoto di Haiti.


Questa fotografia di Paul Hansen è un'immagine di sicuro impatto, ma la seconda fotografia che vi faccio ora vedere ritrae la stessa scena dal dietro le quinte...


In molti forum si discuteva se questo era un triste aspetto del mestiere del fotogiornalista oppure se, pur di ottenere un'immagine d'effetto, si diventa degli avvoltoi. Non voglio entrare nel merito per non scatenare un nuovo vespaio sul diritto di cronaca...

Se volete approfondire questo affascinante ma complesso argomento vi consiglio di leggere il bellissimo libro di Ferdinando Scianna "Etica e fotogiornalismo" e di soffermarvi a pag. 27 dove l'autore racconta un aneddoto accuaduto a Marc Riboud: era in Bangladesh nel 1972 per documentare i disordini rivoluzionari, ad un certo punto si accorse che la presenza di alcuni fotogiornalisti intervenuti durante all’arresto di due persone spinse i soldati indiani a “picchiare ferocemente” gli arrestati, Marc va a cercare un colonello suo conoscente per convincerlo a far smettere il massacro, purtroppo non lo trovò e quando torna sulla scena i due erano già stati uccisi. Due dei fotografi che erano presenti vinsero il premio Pulitzer proprio con le fotografie fotografie di quel linciaggio.